Descrizione
Con 17 voti contrari e il solo voto favorevole del proponente, il Consiglio comunale di Schio ha respinto la mozione presentata dal consigliere di Fratelli d’Italia Alex Cioni sulla revisione dell’adesione del Comune alla rete SAI e sul presunto “sovraccarico” di richiedenti asilo in Città.
Commenta il sindaco, Cristina Marigo: «La mozione parte da premesse sbagliate e mescola piani diversi. Ne esce un quadro distorto, che prova a dipingere la nostra amministrazione comunale come favorevole a un’accoglienza indiscriminata. È esattamente il contrario: vogliamo regole chiare, rispetto della legalità e strumenti efficaci di integrazione per chi ha titolo a restare, nel pieno rispetto delle competenze di ciascuno.
Chiarisco innanzitutto un punto: il sistema SAI ed i CAS non sono la stessa cosa. Nel progetto SAI – al quale Schio aderisce insieme ad altri 12 Comuni, con Santorso come capofila – oggi non ci sono richiedenti asilo, ma solo persone a cui lo Stato ha già riconosciuto lo status di rifugiato o altre forme di protezione. A Schio, all’interno del SAI, le presenze sono 16: otto donne, un uomo e sette minori, organizzati in pochi nuclei familiari, in larga parte mamme con bambini.
Se guardiamo al criterio dell’1–2 ogni mille abitanti, citato dallo stesso consigliere Cioni, il Comune di Schio è ampiamente dentro i limiti. Su circa 39.000 abitanti, la soglia massima sarebbe attorno alle 80 persone: nel SAI ne abbiamo 16. Parlare di “superamento sistematico dei parametri” è quindi falso.
Diverso è il capitolo dei CAS, i centri di accoglienza straordinaria gestiti direttamente dalla Prefettura per conto del Ministero dell’Interno, dove sono ospitati i richiedenti asilo in attesa di decisione. È lì che si colloca il numero di circa 200 persone presenti sul territorio comunale, citato nella mozione. Su questo fronte però il Comune non decide né quanti né dove debbano essere accolti: le assegnazioni vengono effettuate dalla Prefettura, che deve rispondere a flussi decisi a livello nazionale.
Possiamo – e lo facciamo da anni – segnalare criticità e chiedere una distribuzione più equilibrata, ma non possiamo bloccare gli invii né usare il SAI come una leva per “mettere in riga” lo Stato, come vorrebbe far credere la mozione. Uscire dal SAI non toglierebbe una sola persona dai CAS: significherebbe solo rinunciare all’unico strumento di accoglienza ordinata, trasparente e controllata che abbiamo sul territorio.
Completamente errata anche l’idea che il Comune non voglia effettuare controlli sugli alloggi. Sono la prima a chiedere legalità e rispetto delle regole. Ogni volta che arrivano segnalazioni, contatto Prefettura e cooperative. Ma è la stessa Prefettura a ricordarci che gli appartamenti destinati ai CAS non sono case comunali: i controlli regolari su sovraffollamento, condizioni igieniche e presenze effettive li svolgono loro, settimanalmente e a campione. Noi possiamo intervenire solo in casi specifici, concordando le modalità con le autorità competenti. Immaginare controlli “a tappeto”, come sembra suggerire la mozione, sarebbe illegittimo oltre che pericoloso.
È del tutto infondata anche l’accusa di voler trasformare Schio in un “hub” dell’accoglienza. I numeri raccontano un’altra storia: nel SAI abbiamo poche famiglie, seguite con percorsi di lingua, formazione e lavoro finanziati interamente dal Ministero dell’Interno, senza costi per il bilancio comunale. È un modello che aiuta le persone a diventare autonome e, allo stesso tempo, riduce quelle situazioni di marginalità e degrado che tutti vogliamo evitare. Dipingere tutto questo come una scelta di “accoglienza indiscriminata” è profondamente scorretto verso la città e verso chi lavora seriamente su questi progetti.
La bocciatura quasi unanime della mozione – con 17 voti contrari e il solo voto favorevole del proponente – evidenzia chiaramente come Schio non si riconosca nelle semplificazioni propagandistiche. Questo è un tema che va affrontato con serietà, non con proclami. Legalità, responsabilità e verità dei dati: sono questi i principi che guidano l’azione della nostra amministrazione, non le bandiere ideologiche».