CHIESA DI SANTA MARIA DI BELVICINO. LA PIEVE
Altri nomi con cui è nota: La «chiesa vecchia»
Chiesa di S. Maria di Belvicino
Ubicazione: Torrebelvicino. Pievebelvicino, Piazza Santa Maria.
Ente di appartenenza: Parrocchia di Pievebelvicino.
Rif. storico : 1865-1868
Dedicazione: A Santa Maria, come la maggior parte delle pievi vicentine.
Note: L'essere stata questa chiesa la «plebs», la pieve del territorio scledense, costituisce il validissimo motivo per cui è qui presente un edificio sacro che si erge fuori dai confini del Comune di Schio. Il termine «plebs», ben vivo nel latino classico con il significato di plebe, popolo, andò via via mutando ed ampliando il suo significato. Nell'antichità tarda, ormai evangelizzata, esso venne attribuito al popolo dei fedeli che riconosceva come punto di riferimento una determinata chiesa; passò poi ad indicare lo specifico luogo di culto; infine venne dato anche al territorio sottoposto alla chiesa battesimale divenuta nel IX sec., per disposizione di Carlo Magno, centro della raccolta della decima ecclesiastica. Strutture ecclesiali di base, tradizionalmente ritenute specifiche dell'Italia centro–settentrionale, le «pievi» erano delle chiese battesimali «cum capellis», vale a dire alla guida di chiese soggette, che, in molti casi, acquisirono con il tempo l'indipendenza divenendo a loro volta battesimali.
Apertura: Quotidiana. Recita del Rosario nel mese di maggio; benedizione delle Palme nella domenica che precede la Pasqua. Funzioni liturgiche: occasionali. Pellegrinaggio alla pieve: 8 settembre (Natività di Maria Vergine).
Compilatore: E. Gh.
 
     
Fonte battesimale Affresco: Cristo Pantocratore e Santi Pietro e Paolo
BREVE NOTA STORICA
Nell'atrio della pieve si legge, dipinta sulla parete di sinistra, la seguente iscrizione:

  Sulla parete di destra fanno riscontro le seguenti parole:


LE ANTICHE GENTI / DELLA VALLE DEL LEOGRA /
DIVENUTE CRISTIANE / EBBERO QUI /
IL BATTISTERIO L'ALTARE / E LE TOMBE.

 
QUI AVANTI CRISTO / FU UN TEMPIETTO DI DIANA /
S(AN) PROSDOCIMO / ABBATTUTO L'IDOLO /
A MARIA VERGINE LO DEDICO'. /
A(NNO ) D(OMINI) LXXVIII.

Il primo testo propone in valida sintesi tre fra le prerogative della «pieve»: il fonte battesimale; l'altare sul quale celebravano i «presbyteri» viventi allora in comunità con il loro «archipresbyter»; il cimitero nell'edificio sacro stesso (nell'atrio sono ancor oggi visibili alcuni resti di lastre tombali) o nel vicino camposanto.
Nel secondo testo invece non mancano gli elementi leggendari, utili tuttavia per sottolineare alcune caratteristiche dell'edificio: il presunto tempietto a Diana rinvia al culto tributato alla dea paleoveneta Reitia sulle colline di Magrè, come diremo parlando della chiesetta di San Rocco; la figura del vescovo di Padova san Prosdocimo (vissuto nel IV sec. ma anticipato addirittura al tempo degli Apostoli) sottolinea l'antichità del culto cristiano nella nostra zona nonché il collegamento della Chiesa locale con quella padovana (si pensi a Santa Giustina). Viene ribadita anche la leggenda che vuole il santo vescovo intento ad abbattere i segni dell'idolatria: a tutti è noto nella nostra zona il presunto suo intransigente intervento contro le testimonianze di fede pagana sulla sommità del Summano.
La chiesa originaria era testimonianza della evangelizzazione del territorio valleogrino: qui il Cristianesimo si diffuse dapprima per iniziativa della Chiesa padovana già organizzata in diocesi nel IV sec. (Vicenza non lo era ancora); poi per il costituirsi anche di quella vicentina conobbe un ulteriore incremento, grazie anche ad un progresso organizzativo che faceva leva sulle preesistenti circoscrizioni civili ed amministrative di età romana, i «pagi», in cui sorsero le primigenie pievi rurali. Potrebbero essere collocate in età longobarda o nel passaggio a quella carolingia (quindi tra i sec. VII ed VIII) le prime fasi di queste strutture ecclesiali, il cui processo organizzativo andò via via accentuandosi nei secoli successivi.
Fino a quando la chiesa di Pieve rimase primo centro religioso della Val Leogra? Nell'impossibilità di indicare una data precisa, ci si limita a considerare che essa fu tale finché perdurarono le condizioni di vita sociale e religiosa che ne avevano favorito la nascita. Un po' alla volta venne meno l'ambiente originario che era rurale e scarsamente popolato. Inoltre, dopo il Mille, la generale ripresa economica e politica andò gradualmente modificando il paesaggio civile e religioso. Ciò accadde con il sofferto passaggio dall'età feudale a quella comunale, testimoniato proprio a Piebelvicino dallo scontro in cui trovò la morte il vescovo guerriero Pistore (1184–1202). Ciò è testimoniato anche da elementi fra loro diversi ma interagenti, quali l'aumento dei commerci e dell'attività artigianale, i disboscamenti e le bonifiche, i movimenti migratori dal Tirolo e dalla Baviera, il formarsi degli autonomi governi comunali, il diffondersi dei pellegrinaggi all'epoca delle Crociate, ecc. Ebbene: quando, per effetto di tutte queste innovazioni, le condizioni di vita sociale e religiosa originaria mutarono radicalmente, anche la pieve rurale venne per forza di cose a perdere d'importanza, perché inadeguata ai tempi. In tal modo, nella pieve si accentua gradualmente il fenomeno che porta alla disgregazione della comunità sacerdotale riunita presso la casa canonica. Nel territorio che si riconosceva nella pieve, alle «cappelle» si sostituiscono le «ecclesie», singolarmente dotate di «battisterio, altare e tombe», cioè delle prerogative che un tempo erano della sede pievana. Dalla chiesa matrice prendono vita e sempre piú acquisiscono indipendenza varie «parrocchie».
Il tramonto dell'organizzazione religiosa pievana ed il sorgere di nuove realtà organizzative ecclesiali vanno collocati in questo multiforme processo di rinnovamento e non possono di certo essere attribuiti ad una inondazione (tra l'altro poco o punto documentata) del territorio di Pieve causata dal torrente Leogra, talmente disastrosa da costringere la popolazione del luogo a cercare piú sicura dimora in Schio e l'«archipresbyter» con i «presbyteri» della chiesa matrice a spostarsi in pianura, presso la chiesa di San Pietro.
Nelle Rationes decimarum degli anni 1297 e 1303 viene menzionata la nostra «plebs» e a capo della Chiesa scledense figura un Oldericus (Henricus?) «archipresbyter plebis de Belvexino et Scledo».
Già dal XIII sec. con buona probabilità l'arciprete ha preso stabile dimora in Schio. Rimase per qualche tempo in Pievebelvicino l'unico fonte battesimale per l'intero territorio pievano, poi venne meno anche quel vincolo. Un significativo legame con la chiesa matrice perdurò sino al 1453: fu l'usanza di celebrare la liturgia battesimale il Sabato santo e nella vigilia della Pentecoste alla presenza del clero e dei fedeli delle parrocchie un tempo «soggette». In quell'anno l'arciprete di Schio Uguccione celebrò le liturgie pasquali in San Pietro, indifferente alle rimostranze dei parroci di Magrè, Torrebelvicino, Valli. Il vescovo Pietro Barbo, accettò il fatto compiuto, anzi conferí valore giuridico all'avvenuta traslazione a Schio della sede arcipretale. Della lunga tradizione rimasero in vita poche ma significative tracce: fra queste l'istituzione (1634) della collegiata a San Pietro di Schio con decreto del vescovo Luca Stella ed i pellegrinaggi all'antica pieve matrice che ancor oggi si compiono annualmente nella festività mariana dell'8 settembre.

 
NOTE DI ARCHITETTURA E ARTE
C'è all'interno della pieve, in posizione abbastanza defilata, a sinistra del presbiterio, un emblema, una croce greca, entro clípeo, scorciata, ad otto punte, che potrebbe fornire importanti indicazioni cronologiche e storiche sulla nostra chiesa. È stata avanzata di recente infatti dallo storico Gianni Grendene l'ipotesi che si tratti di «un probabile contrassegno dei sopralluoghi sulla viabilità della Val Leogra, compiuti sotto l'egida dei Templari» dopo che i Padovani imposero nel 1264 al Comune di Vicenza i loro statuti. Tra gli articoli di questi ultimi, uno particolarmente rilevante riguardava il ripristino della strada «pro ire Tridentum» per raggiungere Trento, operazione che doveva essere preceduta da una ricognizione in loco compiuta da alcuni «religiosi homines» particolarmente edotti nella tutela dei pellegrinaggi verso i luoghi santi. I Templari, per l'appunto: membri di un un ordine ordine monastico cavalleresco che avevano in Padova, a San Giovanni delle Navi, un loro punto di riferimento particolarmente forte e sicuro. La congettura – afferma lo studioso – è sostenuta dalle seguenti osservazioni: «l'importanza dell'itinerario della Val Leogra, che ricalcava l'antica strada romana; il punto di partenza, connesso con l'ospizio templare di San Nicolò di Olmo presso il Ponte Alto di Vicenza; la posizione della pieve di Belvicino, ai piedi del fortissimo castello, presidio e garanzia del percorso; la somiglianza tra il contrassegno di Pieve e la croce dei Templari, quale ancora si può vedere in San Giovanni delle Navi a Padova». Il dominio padovano su Vicenza cadde traumaticamente nel 1311: è lecito pensare che, a seguito di quell'evento, sia venuto meno anche il motivo della disposizione statutaria che di sé dunque avrebbe lasciato traccia nella nostra croce clipeata, rimasta muta testimonianza di un programma non ulteriormente sviluppato, decaduto proprio nello stesso torno di tempo in cui anche l'ordine dei Templari veniva drammaticamente soppresso. Il visitatore la può vedere da qualche anno riprodotta anche nella pavimentazione ad acciottolato che precede l'ingresso all'antica pieve.
Sino alla metà del XIX sec. la chiesa di Santa Maria, malgrado il venir meno delle esigenze per cui era stata costruita con tanta mole, si presentava come un edificio a tre navate divise da pilastri, sproporzionato rispetto alle necessità dei fedeli del luogo. Quando negli anni 1867– 1868 si rese necessario intervenire su di esso ormai quasi cadente, gli abitanti ritennero opportuno ricorrere ad un suo radicale ridimensionamento: si mantennero tuttavia, pur riducendolo, l'atrio dai mirabili affreschi, le poche tombe del pavimento, il robusto campanile che nella torre quadrata e nella cuspide tonda acuta richiama quelli di San Francesco a Schio e dell'antica chiesa dei Santi Leonzio e Carpòforo a Magrè nonché il presbiterio.
La demolizione dell'antica pieve ebbe inizio nell'agosto 1867: il 9 settembre dello stesso anno si benedisse la prima pietra del nuovo edificio. L'8 settembre 1868 veniva celebrata la solenne inaugurazione della nuova chiesa «riedificata».
Nell'atrio, oltre alle due iscrizioni riportate all'inizio della presente scheda ed ai pochi resti di antiche lastre sepolcrali nel pavimento, richiamano l'attenzione del visitatore due affreschi. Il primo, sulla sinistra della porta d'ingresso, raffigura, sulla scia di moduli bizantineggianti, il Cristo pantocrator, cioè onnipotente, racchiuso entro un ovale, in atteggiamento ieratico, con le mani trafitte e le braccia aperte: lo affiancano due santi, forse Pietro e Paolo. Il restauro avviato nel 1990 e portato a compimento nel 1993 ha consentito di recuperare nella fascia in alto dell'affresco parte della scritta:


HOC OPUS FIERI FECIT VIR PRUDENS /
SER IOHANNES DE SEBENICO /
ANTEA CUSTOS ARCIS BELVICINI
A(NNO) D(OMINI) MCDXCIII

 
Giovanni da Sebenico, persona savia, già castellano della rocca di Belvicino, fece compiere quest'opera. L'anno del Signore 1493.

Il secondo affresco, sulla destra dell'ingresso, raffigura, entro una cornice a lunetta, la Madonna con il Bambino, San Giuseppe ed altri santi (forse Simeone e Bartolomeo). Anch'esso, come il precedente, è datato al XV sec. ma nell'angolo alto a destra è apparso nel corso dei recenti restauri il volto di un altro santo dipinto in epoca precedente.
All'interno della chiesa non sono attualmente visibili tutte le opere che le apparterrebbero (come ad esempio – oltre al citato fonte battesimale – la terracotta raffigurante Cristo in pietà, pregevole opera cinquecentesca, e la venerata statua della Madonna di Pieve custodite nella nuova parrocchiale, nonché l'organo opera dei fratelli Zordan di Cogollo). Meritano tuttavia particolare attenzione l'affresco nel cielo della chiesa raffigurante l'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, opera (1868) dello scledense Giuseppe Pupin sr.; l'elegante (1747) altare di Gesú sofferente già appartenuto alla sconsacrata chiesa dei Santi Cristoforo, Francesco e Carlo annessa all'antico ospedale Baratto; il coro ligneo (XVI sec.) del presbiterio con dieci cariatidi, cinque delle quali raffigurano personaggi ben caratterizzati ma sinora non identificati; le tele ad olio del coro, opera di Tomaso Pasquotti, donate nel 1908 dal barone Alessandro Rossi. Quest'ultimo evento fu ricordato dal parroco del tempo don Girolamo Bettanin con parole che sintetizzano efficacemente le caratteristiche dei dipinti: «I quadri di mezzo raffigurano la Natività di Maria Vergine titolare della chiesa, e l'Annunciazione. Ai lati della Natività sono San Gaetano, San Girolamo, San Prosdocimo, San Francesco. Ai lati dell'Annunciazione: Santa Teresa, Sant'Alessandro, San Giovanni, Santa Matilde. Il tutto è dono del barone A. Rossi la cui fisionomia è per capriccio del pittore molto ricordata nella testa di Sant'Alessandro. Santa Teresa è il nome battesimale della moglie del Rossi, Santa Matilde della figlia, San Giovanni del padre e del futuro figlio quando verrà, San Girolamo del parroco attuale di Pieve, San Prosdocimo protettore della parrocchia, San Gaetano protettore della diocesi vicentina appartenente al [casato di Maria Teresa Thiene, moglie del barone Alessandro], San Francesco d'Assisi restauratore dello spirito cristiano nel popolo. Fra le varie figure, al pittore pare meglio riuscita quella di San Francesco. Fra la gente i gusti sono varii e varie le preferenze, moltissimi però lodano fra tutto la puerpera Sant'Anna e il San Girolamo».
Oltre a queste, l'interno della pieve propone ai suoi visitatori altre opere e testimonianze di storia di non poco rilievo: nelle vele del presbiterio i ritratti forse settecenteschi dei Quattro evangelisti; l'importante croce greca ad otto punte di cui già s'è detto; il tronetto e le statue della Madonna del Rosario e dell'Angelo custode nelle nicchie ai lati del presbiterio, opera dello scultore Pietro Paolo Dalla Vecchia jr. di Santorso; l'antico (XVIII sec.) orologio della Pieve, opera di valenti artigiani forse locali; l'altare della Santissima Trinità riedificato in pietra nel 1769.

 
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
- Gianni GRENDENE, Santa Maria di Belvicino, chiesa matrice della Valle del Leogra. Le origini. Appunti illustrativi. Con un saggio di Vinicio Filippi, Pievebelvicino 1995;

- GRUPPO PER IL RESTAURO DELLA ANTICA PIEVE, Visita all'antica Pieve. Appunti storici e itinerario guidato per il pellegrinaggio giubilare del vicariato di Schio. 8 settembre A. D. 2000, Pievebelvicino 2000;

– Attilio PREVITALI, Le chiese del primo millennio nella diocesi di Vicenza, Vicenza 2001, p. 75 – 80.