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BREVE NOTA STORICA |
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Nell'atrio
della pieve si legge, dipinta sulla parete di sinistra,
la seguente iscrizione:
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Sulla parete
di destra fanno riscontro le seguenti parole:
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LE ANTICHE GENTI / DELLA VALLE DEL LEOGRA /
DIVENUTE CRISTIANE / EBBERO QUI /
IL BATTISTERIO L'ALTARE / E LE TOMBE.
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QUI AVANTI CRISTO / FU UN TEMPIETTO DI DIANA /
S(AN) PROSDOCIMO / ABBATTUTO L'IDOLO /
A MARIA VERGINE LO DEDICO'. /
A(NNO ) D(OMINI) LXXVIII.
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Il primo testo propone in valida sintesi tre fra le prerogative
della «pieve»: il fonte
battesimale; l'altare sul quale celebravano i «presbyteri»
viventi allora in comunità con il loro «archipresbyter»; il
cimitero nell'edificio sacro stesso (nell'atrio sono ancor oggi
visibili alcuni resti di lastre tombali) o nel vicino camposanto.
Nel secondo testo invece non mancano gli elementi leggendari,
utili tuttavia per sottolineare alcune caratteristiche dell'edificio:
il presunto tempietto a Diana rinvia al culto tributato alla
dea paleoveneta Reitia sulle colline di Magrè, come diremo parlando
della chiesetta di San Rocco; la figura del
vescovo di Padova
san Prosdocimo (vissuto nel IV sec. ma anticipato addirittura
al tempo degli Apostoli) sottolinea l'antichità del culto cristiano
nella nostra zona nonché il collegamento della Chiesa locale
con quella padovana (si pensi a Santa Giustina). Viene ribadita
anche la leggenda che vuole il santo vescovo intento ad abbattere
i segni dell'idolatria: a tutti è noto nella nostra zona il
presunto suo intransigente intervento contro le testimonianze
di fede pagana sulla sommità del Summano.
La chiesa originaria era testimonianza della evangelizzazione
del territorio valleogrino: qui il Cristianesimo si diffuse
dapprima per iniziativa della Chiesa padovana già organizzata
in diocesi nel IV sec. (Vicenza non lo era ancora); poi per
il costituirsi anche di quella vicentina conobbe un ulteriore
incremento, grazie anche ad un progresso organizzativo che faceva
leva sulle preesistenti circoscrizioni civili ed amministrative
di età romana, i
«pagi», in cui sorsero le primigenie pievi rurali.
Potrebbero essere collocate in età longobarda o nel passaggio
a quella carolingia (quindi tra i sec. VII ed VIII) le prime
fasi di queste strutture ecclesiali, il cui processo organizzativo
andò via via accentuandosi nei secoli successivi.
Fino a quando la chiesa di Pieve rimase primo centro religioso
della Val Leogra? Nell'impossibilità di indicare una data precisa,
ci si limita a considerare che essa fu tale finché perdurarono
le condizioni di vita sociale e religiosa che ne avevano favorito
la nascita. Un po' alla volta venne meno l'ambiente originario
che era rurale e scarsamente popolato. Inoltre, dopo il Mille,
la generale ripresa economica e politica andò gradualmente modificando
il paesaggio civile e religioso. Ciò accadde con il sofferto
passaggio dall'età feudale a quella comunale, testimoniato proprio
a Piebelvicino dallo scontro in cui trovò la morte il vescovo
guerriero
Pistore (1184–1202). Ciò è testimoniato anche da elementi
fra loro diversi ma interagenti, quali l'aumento dei commerci
e dell'attività artigianale, i disboscamenti e le bonifiche,
i movimenti migratori dal Tirolo e dalla Baviera, il formarsi
degli autonomi governi comunali, il diffondersi dei pellegrinaggi
all'epoca delle Crociate, ecc. Ebbene: quando, per effetto di
tutte queste innovazioni, le condizioni di vita sociale e religiosa
originaria mutarono radicalmente, anche la pieve rurale venne
per forza di cose a perdere d'importanza, perché inadeguata
ai tempi. In tal modo, nella pieve si accentua gradualmente
il fenomeno che porta alla disgregazione della comunità sacerdotale
riunita presso la casa canonica. Nel territorio che si riconosceva
nella pieve, alle «cappelle» si sostituiscono le «ecclesie»,
singolarmente dotate di «battisterio, altare e tombe», cioè
delle prerogative che un tempo erano della sede pievana. Dalla
chiesa matrice prendono vita e sempre piú acquisiscono indipendenza
varie «parrocchie».
Il tramonto dell'organizzazione religiosa pievana ed il sorgere
di nuove realtà organizzative ecclesiali vanno collocati in
questo multiforme processo di rinnovamento e non possono di
certo essere attribuiti ad una inondazione (tra l'altro poco
o punto documentata) del territorio di Pieve causata dal torrente
Leogra, talmente disastrosa da costringere la popolazione del
luogo a cercare piú sicura dimora in Schio e l'«archipresbyter»
con i «presbyteri» della chiesa matrice a spostarsi in pianura,
presso la chiesa di San Pietro.
Nelle
Rationes decimarum degli anni 1297 e 1303 viene menzionata
la nostra «plebs» e a capo della Chiesa scledense figura un
Oldericus (Henricus?) «archipresbyter plebis de Belvexino et
Scledo».
Già dal XIII sec. con buona probabilità l'arciprete ha preso
stabile dimora in Schio. Rimase per qualche tempo in Pievebelvicino
l'unico fonte
battesimale per l'intero territorio pievano, poi venne meno
anche quel vincolo. Un significativo legame con la chiesa matrice
perdurò sino al 1453: fu l'usanza di celebrare la liturgia battesimale
il Sabato santo e nella vigilia della Pentecoste alla presenza
del clero e dei fedeli delle parrocchie un tempo «soggette».
In quell'anno l'arciprete di Schio Uguccione celebrò le liturgie
pasquali in San Pietro, indifferente alle rimostranze dei parroci
di Magrè, Torrebelvicino, Valli. Il vescovo
Pietro Barbo, accettò il fatto compiuto, anzi conferí
valore giuridico all'avvenuta traslazione a Schio della sede
arcipretale. Della lunga tradizione rimasero in vita poche ma
significative tracce: fra queste l'istituzione (1634) della
collegiata a San Pietro di Schio con decreto del vescovo
Luca Stella ed i pellegrinaggi all'antica pieve matrice
che ancor oggi si compiono annualmente nella festività
mariana dell'8 settembre.
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NOTE DI ARCHITETTURA E ARTE |
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C'è all'interno della pieve, in posizione abbastanza
defilata, a sinistra del presbiterio, un emblema, una croce
greca, entro clípeo, scorciata, ad otto punte, che potrebbe
fornire importanti indicazioni cronologiche e storiche sulla
nostra chiesa. È stata avanzata di recente infatti dallo storico
Gianni Grendene l'ipotesi che si tratti di «un probabile contrassegno
dei sopralluoghi sulla viabilità della Val Leogra, compiuti
sotto l'egida dei Templari» dopo che i Padovani imposero nel
1264 al Comune di Vicenza i loro statuti. Tra gli articoli di
questi ultimi, uno particolarmente rilevante riguardava il ripristino
della strada «pro ire Tridentum» per raggiungere Trento,
operazione che doveva essere preceduta da una ricognizione in
loco compiuta da alcuni «religiosi homines» particolarmente
edotti nella tutela dei pellegrinaggi verso i luoghi santi.
I Templari, per l'appunto: membri di un un ordine ordine monastico
cavalleresco che avevano in Padova, a San Giovanni delle Navi,
un loro punto di riferimento particolarmente forte e sicuro.
La congettura – afferma lo studioso – è sostenuta dalle seguenti
osservazioni: «l'importanza dell'itinerario della Val Leogra,
che ricalcava l'antica strada romana; il punto di partenza,
connesso con l'ospizio templare di San Nicolò di Olmo presso
il Ponte Alto di Vicenza; la posizione della pieve di Belvicino,
ai piedi del fortissimo castello, presidio e garanzia del percorso;
la somiglianza tra il contrassegno di Pieve e la croce dei Templari,
quale ancora si può vedere in San Giovanni delle Navi a Padova».
Il dominio padovano su Vicenza cadde traumaticamente nel 1311:
è lecito pensare che, a seguito di quell'evento, sia venuto
meno anche il motivo della disposizione statutaria che di sé
dunque avrebbe lasciato traccia nella nostra croce clipeata,
rimasta muta testimonianza di un programma non ulteriormente
sviluppato, decaduto proprio nello stesso torno di tempo in
cui anche l'ordine dei Templari veniva drammaticamente soppresso.
Il visitatore la può vedere da qualche anno riprodotta anche
nella pavimentazione ad acciottolato che precede l'ingresso
all'antica pieve.
Sino alla metà del XIX sec. la chiesa di Santa Maria, malgrado
il venir meno delle esigenze per cui era stata costruita con
tanta mole, si presentava come un edificio a tre navate divise
da pilastri, sproporzionato rispetto alle necessità dei fedeli
del luogo. Quando negli anni 1867– 1868 si rese necessario intervenire
su di esso ormai quasi cadente, gli abitanti ritennero opportuno
ricorrere ad un suo radicale ridimensionamento: si mantennero
tuttavia, pur riducendolo, l'atrio dai mirabili affreschi, le
poche tombe del pavimento, il robusto campanile che nella torre
quadrata e nella cuspide tonda acuta richiama quelli di San Francesco a Schio e dell'antica chiesa dei
Santi Leonzio e Carpòforo a Magrè nonché il
presbiterio.
La demolizione dell'antica pieve ebbe inizio nell'agosto 1867:
il 9 settembre dello stesso anno si benedisse la prima pietra
del nuovo edificio. L'8 settembre 1868 veniva celebrata la solenne
inaugurazione della nuova chiesa «riedificata».
Nell'atrio, oltre alle due iscrizioni riportate all'inizio della
presente scheda ed ai pochi resti di antiche lastre sepolcrali
nel pavimento, richiamano l'attenzione del visitatore due affreschi.
Il primo, sulla sinistra della porta d'ingresso, raffigura,
sulla scia di moduli bizantineggianti, il Cristo pantocrator,
cioè onnipotente, racchiuso entro un ovale, in atteggiamento
ieratico, con le mani trafitte e le braccia aperte: lo affiancano
due santi, forse Pietro e Paolo. Il restauro avviato nel 1990
e portato a compimento nel 1993 ha consentito di recuperare
nella fascia in alto dell'affresco parte della scritta:
HOC OPUS FIERI FECIT VIR PRUDENS /
SER IOHANNES DE SEBENICO /
ANTEA CUSTOS ARCIS BELVICINI
A(NNO) D(OMINI) MCDXCIII
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Giovanni da Sebenico, persona savia, già castellano
della rocca di Belvicino, fece compiere quest'opera. L'anno
del Signore 1493. |
Il secondo affresco, sulla destra dell'ingresso, raffigura,
entro una cornice a lunetta, la Madonna con il Bambino,
San Giuseppe ed altri santi (forse Simeone e Bartolomeo).
Anch'esso, come il precedente, è datato al XV sec. ma nell'angolo
alto a destra è apparso nel corso dei recenti restauri il volto
di un altro santo dipinto in epoca precedente.
All'interno della chiesa non sono attualmente visibili tutte
le opere che le apparterrebbero (come ad esempio – oltre al
citato fonte battesimale – la terracotta raffigurante Cristo
in pietà, pregevole opera cinquecentesca, e la venerata
statua della Madonna di Pieve custodite nella nuova parrocchiale,
nonché l'organo opera dei fratelli Zordan
di Cogollo). Meritano tuttavia particolare attenzione l'affresco
nel cielo della chiesa raffigurante l'Immacolata Concezione
della Beata Vergine Maria, opera (1868) dello scledense
Giuseppe
Pupin sr.; l'elegante (1747) altare di Gesú sofferente già
appartenuto alla sconsacrata chiesa dei Santi
Cristoforo, Francesco e Carlo annessa all'antico
ospedale Baratto; il coro ligneo (XVI sec.) del presbiterio
con dieci cariatidi, cinque delle quali raffigurano personaggi
ben caratterizzati ma sinora non identificati; le tele ad olio
del coro, opera di Tomaso
Pasquotti, donate nel 1908 dal barone
Alessandro Rossi. Quest'ultimo evento fu ricordato dal parroco
del tempo
don Girolamo Bettanin con parole che sintetizzano efficacemente
le caratteristiche dei dipinti: «I quadri di mezzo raffigurano
la Natività di Maria Vergine titolare della chiesa,
e l'Annunciazione. Ai lati della Natività
sono San Gaetano, San Girolamo, San Prosdocimo, San Francesco.
Ai lati dell'Annunciazione: Santa Teresa, Sant'Alessandro,
San Giovanni, Santa Matilde. Il tutto è dono del barone
A. Rossi la cui fisionomia è per capriccio del pittore molto
ricordata nella testa di Sant'Alessandro. Santa Teresa
è il nome battesimale della moglie del Rossi, Santa Matilde
della figlia, San Giovanni del padre e del futuro figlio quando
verrà, San Girolamo del parroco attuale di Pieve, San Prosdocimo
protettore della parrocchia, San Gaetano protettore della diocesi
vicentina appartenente al [casato di Maria Teresa Thiene, moglie
del barone Alessandro], San Francesco d'Assisi restauratore
dello spirito cristiano nel popolo. Fra le varie figure, al
pittore pare meglio riuscita quella di San Francesco.
Fra la gente i gusti sono varii e varie le preferenze, moltissimi
però lodano fra tutto la puerpera Sant'Anna e il San
Girolamo».
Oltre a queste, l'interno della pieve propone ai suoi visitatori
altre opere e testimonianze di storia di non poco rilievo: nelle
vele del presbiterio i ritratti forse settecenteschi dei Quattro
evangelisti; l'importante croce greca ad otto punte di
cui già s'è detto; il tronetto e le statue della Madonna
del Rosario e dell'Angelo custode nelle nicchie
ai lati del presbiterio, opera dello scultore Pietro Paolo Dalla Vecchia jr. di Santorso; l'antico
(XVIII sec.) orologio della Pieve, opera di valenti artigiani
forse locali; l'altare della Santissima Trinità riedificato
in pietra nel 1769.
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE |
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- Gianni GRENDENE, Santa Maria di Belvicino,
chiesa matrice della Valle del Leogra. Le origini.
Appunti illustrativi. Con un saggio di Vinicio
Filippi, Pievebelvicino 1995;
- GRUPPO PER IL RESTAURO DELLA ANTICA PIEVE, Visita
all'antica Pieve. Appunti storici e itinerario guidato
per il pellegrinaggio giubilare del vicariato di
Schio. 8 settembre A. D. 2000, Pievebelvicino
2000;
– Attilio PREVITALI, Le chiese del primo millennio
nella diocesi di Vicenza, Vicenza 2001, p.
75 – 80.
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